lunedì 19 agosto 2013

Prevenire o curare: comunità e l'educazione di strada a confronto

 L’inserimento in comunità è previsto sia per i soggetti a rischio psicosociale, sia per i soggetti che sono già entrati nel circuito penale.
L'’allontanamento dai contesti abituali, è stabilito sulla base del principio della protezione del minore e non dal minore. In tal senso, la residenzialità consente di lavorare sulla funzione strutturante delle routine quotidiane e su quella contenitiva della relazione con gli educatori.
I principi pedagogici di base che regolano la comunità, sono essenzialmente: la vita quotidiana come contesto educativo, l’equilibrio tra rapporto individualizzato e dinamiche relazionali di gruppo (Coraglia, Garena, 1988; Cialabrini, Massa, 1973). La vita residenziale non è vista come puro contenitore o appoggio al ragazzo, ma come la reale chiave di volta dell'’intervento educativo.
Accoglimento, sostegno, contenimento, mediazione con ambienti non protetti (la scuola, i familiari), condivisione di esperienze attuali, progetti futuri, nuove opportunità di relazione, dovrebbero caratterizzare la vita del ragazzo in comunità.
Attualmente, sembra che la formula più indicata per interventi di tipo preventivo/rieducativo, sia la comunità con un numero di ospiti non superiore alle dieci unità. Le dimensioni contenute del gruppo di residenti, consentono, infatti, l’instaurarsi di significative relazioni faccia-a-faccia e la costruzione di una nuova storia condivisa e significativa fatta di rituali della vita quotidiana, ma anche di eventi salienti, tutte precondizioni per l’instaurarsi di nuovi modi di agire e di pensare.



Per quanto riguarda, invece, l'’educazione di strada, in Italia, la figura professionale dell'’educatore di strada, acquista sempre maggior rilevanza sia sul piano della riflessione pedagogica che su quello della progettazione di interventi. In alcune città (Palermo, Torino, Milano, Bologna, Napoli), sono in atto modelli di intervento formulati intorno a quest'’idea. L'’idea di fondo, è l’inversione di direzione: non è il minore che va o è condotto al servizio sociale, è il servizio che va verso il minore e lo incontra o lo aggancia là dove si trova. Ciò consente di raggiungere utenti che forse non avrebbero mai incontrato i servizi e che spesso sono quelli che ne hanno maggiore bisogno.

I presupposti sono quelli della pedagogia territoriale, particolarmente indicati ad orientare l’intervento educativo in ambiti in cui la devianza ha o rischia di avere carattere strutturale e non occasionale, in quanto sostenuta e legittimata dal tessuto sociale e dalla cultura locale (Demetrio, 1995, pagg.48-54).

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