giovedì 22 agosto 2013
L'esortazione allarmistica: un modello di prevenzione degli anni sessanta.
La prima fase dell'evoluzione delle strategie preventive si è quindi tradotta soprattutto in iniziative ispirate a un approccio esortativo-dissuasivo: interventi "terroristici", con l'utilizzo di linguaggi e di materiale dal forte impatto negativo, nell'intento di generare timore e rifiuto nei confronti di un comportamento ritenuto deviante. I messaggi preventivi di tono minaccioso, che sfruttano l'induzione di sentimenti di ansia e di paura, possono però determinare reazioni che ostacolo l'assimilazione del contenuto. Ricerche condotte a partire dagli anni cinquanta hanno dimostrato che la sollecitazione di sentimenti di paura rappresenta una leva di comportamento efficace solo quando essi hanno un'intensità debole; quando invece hanno un'intensità forte, l'effetto provocato rischia di tradursi in una maggiore tensione emotiva, a cui però non corrisponde un cambiamento di comportamento nella direzione auspicata. La teoria della dissonanza cognitiva di Festinger sottolinea, infatti, che gli individui cercando di ridurre il disagio interiore provocato dalle incoerenze fra credenze già in loro possesso e le nuove informazioni ricevute. Un intervento informativo che voglia ottenere i risultati educativi, in termini di consapevolezza, deve evitare la dissonanza cognitiva. L'esasperazione dei pericoli conessi con alcuni comportamenti, poi, se da un lato può rafforzare la tendenza a evitare l'adozione da parte degli individui che comunque se ne sarebbero astenuti, dall'altro rischia di stimolare il passaggio dalla sperimentazione sporadica alla condotta abituale, nella convinzione di aver infranto un tabù e di aver imboccato un percorso irreversibile.
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