sabato 17 agosto 2013

Tempistiche e progetti.

I tempi dell’'intervento educativo, inteso come processo di costruzione identitaria, come un’opportunità di crescita che punta al cambiamento, si collocano sul medio-lungo termine.
Questa, è un’indicazione che si scontra ovviamente con il problema delle risorse destinate ai servizi sociali.
Molti progetti, sia preventivi sia rieducativi, falliscono per una contrazione eccessiva dei tempi che non risponde a parametri pedagogici, ma squisitamente economici.
Così, i tempi dello sviluppo e del cambiamento di un’identità si traducono in costi.



Alcuni fattori, hanno quindi contribuito ad orientare verso la territorializzazione dei servizi educativi: le conseguenze devastanti dell'istituzionalizzazione, la necessità di rispondere in termini di servizi alle misure alternative alla detenzione previste dal nuovo codice di procedura penale minorile, la necessità di prendere in carico i minori a “rischio”.

Da questo punto di vista, hanno acquistato sempre maggiore rilevanza sociale e interesse scientifico due luoghi/modi dell’intervento preventivo/educativo: la comunità e la strada.

lunedì 12 agosto 2013

Se l’educatore riesce ad inserirsi allora...

Dal punto di vista dell'educando, il progetto educativo inteso e tradotto come norme e regole diventa un vero e reale quadro di riferimento: orienta, sostiene e contiene reazioni e comportamenti.
La costruzione delle esperienze orientate al cambiamento e dell’identità si collocano oltre la prima formazione.
Questo processo di cambiamento è destinato a soggetti che hanno già vissuto esperienze e sedimentato vissuti. Nel corso della propria storia, il minore ha avuto modo di consolidare alcuni schemi di significato che egli sente propri e spesso per nulla disadattivi. Introiettati e difesi come propri, essi possono avere maggiore o minore grado di stabilità e strutturazione in base alle esperienze vissute e alla loro stereotipia. L’intervento rieducativo costruisce contesti ed esperienze nuovi o differenti da quelli che hanno caratterizzato l’ambiente del ragazzo o propri della sua formazione.
Entro questi contesti e attraverso essi, il minore ha l’opportunità di sperimentare differenti figure e differenti modalità di essere percepito e trattato dagli adulti di riferimento, differenti aspettative e reazioni al suo comportamento, nuovi stimoli ed opportunità d’azione, nuove forme di comunicazione interpersonale.
L'’educatore sostiene il minore e lo accompagna in queste esperienze, fornendo supporti ma senza sostituirsi a lui. La condivisione di spazi, tempi, attività e momenti della vita quotidiana ha un duplice scopo. In primo luogo, consente all’educatore di conoscere a poco a poco le categorie attraverso cui il minore interpreta e fa fronte alla sua realtà quotidiana.
In che modo percepisce la famiglia, la scuola, l’educatore stesso' Osservando come il minore interagisce e fa fronte ai compiti e alle situazioni quotidiane e interagendo con lui, l’educatore può comprendere la chiave interpretativa del suo mondo in modo più preciso che attraverso colloqui istituzionalizzati.In secondo luogo, se l’educatore riesce ad inserirsi o a costruire un micro-ordine della vita sociale, egli ha maggiori ambiti d’intervento. E’ condividendo ritmi, attività, luoghi della vita quotidiana che l’educatore può trasformare quest’ultima in un ambiente più protetto e controllato entro cui il minore può sperimentare nuovi modi di conferire ordine e dotare di senso la realtà.
Naturalmente, la condivisione della vita quotidiana assume forme differenti se l’intervento educativo si svolge in strutture diverse (carcere, comunità residenziali) o se esso si articola in forme di educazione di strada o di progetti. Nella progressiva ridefinizione dell’identità personale, l’esperienza del gruppo rappresenta il contesto di costruzione o rielaborazione delle competenze sociali. Alcuni dispositivi che caratterizzano la vita di gruppo (il senso d’appartenenza, la complementarietà dei ruoli, la competitività, la cooperazione, istituzione di norme e sanzioni) possono tradursi in altrettante risorse formative.
 La rete di relazioni del minore, dovrebbe ampliarsi oltre le figure di adulti aventi ruoli professionali ben definiti.

 L’educatore può inserirsi all’interno di gruppi naturali o aggregazioni spontanee contribuendo a ridefinirne dinamiche interpersonali e valori, facendo anche in modo che il gruppo contenga, risolva e riassorba i suoi membri devianti perché non si creino le condizioni per la riedizione di meccanismi di esplulsione che molti ragazzi potrebbero aver già subito in altri luoghi e in altri momenti.