martedì 6 agosto 2013

La devianza minorile, come affrontarla in prevenzione?

Il nuovo processo minorile, ha operato un cambiamento non indifferente dal punto di vista degli operatori, servizi e comunità. Oggi, infatti, il recupero del soggetto che impatta con il sistema penale, richiede una programmazione estremamente personalizzata d’interventi che vede impegnati ed interagenti vari soggetti: il minore, la famiglia, l’ambiente in cui vive (scuola, lavoro...), i Servizi sociali ministeriali e quelli del territorio e naturalmente la magistratura (Brex, Fiorentino Busnelli, 1994, 115).
Anche la ricerca pedagogica e psicologica sul trattamento educativo dei minori disadattati e devianti consente di compiere alcune osservazioni interessanti (Rapporto 1997, pp. 403-411). In primo luogo, oggi si assiste ad un progressivo abbandono del modello di trattamento comportamentista, centrato in pratica sulla richiesta di una modificazione del comportamento sulla base di una contrattazione che tendeva a risolversi in un sistema di rinforzi positivi e negativi. In altri termini, l’idea è che un minore agisce, in modo più o meno deviante, sulla base degli schemi di significato che possiede. Prima di pretendere che un minore smetta di giocare il solo ruolo che sa giocare, bisogna che gli sia data l’opportunità di utilizzare e far propri schemi alternativi di pensiero e azione. Il cambiamento del comportamento segue, non precede, il processo di costruzione e ricostruzione identitaria che l’intervento educativo dovrebbe favorire. Appare ovvio, che quest'’indicazione è in linea con la più ampia questione riguardante la costruzione del progetto educativo.
Quest’ultimo, consente di sviluppare tre riflessioni fondamentali:
La relazione con l’educatore;
La costruzione di esperienze orientate al cambiamento;
I tempi e i luoghi dei servizi educativi.

La relazione con l’educatore è il principale motore del cambiamento. Una prima componente necessaria è rappresentata dall'’investimento affettivo e dalla gestione pedagogica del transfert. I processi d’identificazione, d’affiliazione, d’attaccamento, di dipendenza, incidono nella storia evolutiva del minore. Perché essi si trasformino in momenti educativi funzionali, essi devono essere presi in considerazione e trattati in modo congruente con le specifiche esigenze evolutive del minore. La disponibilità, i segni dell’accoglimento affettivo, le funzioni di sostegno, strutturazione e contenimento svolte dall’educatore, costituiscono il fondo del terreno relazionale su cui articolare norme, regole e autorevolezza. Perchè tale relazione sia costruita come strutturante e rassicurante, la quotidianità del rapporto appare fondamentale. Il che rileva la debolezza dei modelli educativi, quando questa si risolve in incontri saltuari con l’educatore. Inoltre, la dimensione della progettualità è connessa alla comunicazione al minore di una positiva scommessa sulle sue capacità, abilità, competenze. L’ipotesi di fondo è che l’orientamento al futuro, la dimensione progettuale siano fattori costitutivi dell’identità: scopi da raggiungere, progetti cui partecipare, diventano dei dispositivi per cominciare a sperimentare l’efficacia e la praticabilità di nuovi e differenti modi di pensare e di agire. In altri termini, la presa di distanza dal passato è il prodotto di un differente modo di agire nel presente e di pensarsi nel futuro. La comunicazione tra minore e educatore deve rispondere ad un modello circolare, cioè dare al minore la possibilità di partecipare alla contrattazione del proprio percorso, negoziare regole e norme, passare da un comportamento di ruolo centrato sull’autorità ad un modello di autorevolezza, accogliere, contenere e restituire in forma più organizzata emozioni e comportamenti disordinati. Ciò al fine di sostenere il versante rassicurante, contenitivo e strutturante della relazione e di trasformare il minore, seguendo uno schema simbolico-interazionista, in un interlocutore attivo di un processo di cui dovrebbe essere protagonista (Rapporto 1997, 404; Poletti, 1988, pp. 3-72; Matza, 1969, pp. 139-300). La competenza, la disponibilità e soprattutto l’attendibilità dell’educatore e la stabilità della relazione, sostengono la probabilità che egli diventi per i ragazzi e le ragazze un riferimento autorevole di realtà.

Nessun commento:

Posta un commento